Martedì 1 aprile 2014, alle ore 18,00 a Roma, presso lo Studio Arte Fuori Centro, via Ercole Bombelli 22, si inaugura la personale di Mariarosaria Stigliano “Seguendo il coniglio bianco”, curata da Loredana Rea.
L’esposizione rimarrà aperta fino al 18 aprile, secondo il seguente orario: dal martedì al venerdì dalle 17,00 alle 20,00.
Per questa esposizione Mariarosaria Stigliano ha costruito un racconto noir dai toni intimistici e a tratti provocatori. Il punto di partenza sono i romanzi di Carroll ma la sua Alice è poco fiabesca e molto underground, che si muove tra la crudezza di una realtà fatta di violenza e sopraffazione e una dimensione onirica che non ha lieto fine.
I grandi lavori realizzati a grafite su carta o in tecnica mista (con una predominante di bianco e nero) suggeriscono le tappe emblematiche di un percorso iniziatico alla scoperta di sé in un mondo difficile da vivere tra solitudine straniante e inquietanti presenze. I personaggi creati dallo scrittore inglese si trasformano: Alice è ormai una giovane donna che deve affrontare le problematiche del presente, il coniglio è una figura maschile rassicurante e inquietante al tempo stesso, i fanti delle carte diventano soldati pronti a caricare, a delineare la complessità del vivere quotidiano.
SEGUENDO IL CONIGLIO BIANCO
nel disegno di una realtà straniante
di Loredana Rea
Chi sa se un giorno avrebbe raccolto intorno a sé altre bambine, per fare che i loro occhi brillassero come stelle al racconto del suo (oramai tanto lontano) viaggio nel Paese delle Meraviglie. Chissà se avrebbe saputo partecipare, ancora con lo stesso cuore ai piccoli dispiaceri e alle loro semplici gioie, nel ricordo della sua vita di bambina e dei suoi felici giorni d’estate. Lei era certa che Alice ne sarebbe stata capace.
Lewis Carroll
Per Mariarosaria Stigliano il disegno rappresenta non soltanto lo spazio privilegiato di ogni sperimentazione, in cui ha definito i termini di una progettualità declinata con accetti assolutamente specifici, ma anche lo spazio in cui si compie, attraverso un linguaggio affabulatorio e al tempo stesso allusivamente straniante, la sublimazione delle esperienze del quotidiano.
La carta, la grafite, il carboncino, i pastelli, gli inchiostri e pochi altri mezzi sono gli elementi indispensabili a costruire una raffinata dialettica tra la superficie e i segni su di essa tracciati, capace di restituire la complessa profondità di una dimensione immaginativa, in cui senza soluzione di continuità le tracce del vissuto si mescolano a un’artificialità ricercata e perturbante. Attraverso essa l’artista controlla la tessitura degli orditi e delle trame, modella lo sviluppo dei volumi, regola l’intensità della luce e delle ombre, a mettere in atto un singolare processo di comprensione di sé e di trascendimento, cosicché il proprio sentire possa trasformarsi compiutamente in materia d’arte, assaggiando l’ebbrezza dello sconfinamento con la certezza di poter tornare sempre da dove si è partiti.
Per questa esposizione Stigliano ha realizzato un affresco della contemporaneità dal carattere inconfondibilmente noir, dai toni intimistici e a tratti volutamente provocanti, dove nulla è mai ciò che sembra. Il punto di partenza sono i due romanzi di Carroll ma la sua Alice è poco fiabesca e molto disincantata: accenti metropolitani e atmosfere underground definiscono, infatti, il carattere di un racconto differente, in cui i codici onirici diventano chiavi interpretative di inquietudini che affondano profondamente le radici nella quotidianità.
Ciò che ne risulta è un racconto visionario, provocatorio, rigoroso, che apre nella realtà crepe profonde, dalle quali emergono il non detto, il rimosso, la fragilità di un’esistenza legata alla consapevolezza critica dell’età adulta. I personaggi creati dallo scrittore inglese si trasformano, lasciando affiorare prepotentemente ciò che in origine era celato: la doppiezza rivelata spalanca le contraddizioni del mondo, per innescare un meccanismo di ossessiva interrogazione sullo statuto del reale. Alice è ormai una giovane donna che deve affrontare la problematicità del presente, il coniglio è una figura maschile rassicurante e inquietante al tempo stesso, mentre i fanti delle carte diventano soldati pronti a caricare, per delineare la complessità del vivere quotidiano.
Si muovono tra la durezza di una consuetudine di vita sostanziata di violenza e sopraffazione e una dimensione fiabesca, che non ha un lieto fine prestabilito, anzi potrebbe averne affatto, poiché le illusioni più attraenti all’improvviso possono mutarsi negli incubi più tetri. L’intento è fermare il tempo della coscienza, sezionarlo in una miriade di frammenti da ricomporre, superando l’ossessione di dover spiegare ogni cosa. L’ordine della struttura narrativa si dissolve a poco a poco, senza smarrirsi del tutto, rivelando sia la ricchezza sia la minaccia di un sogno ossessivamente pronto a ripartire, in una sorta di balbettio disordinato ma non illogico.
I grandi lavori realizzati su carta, a grafite o in tecnica mista (con una predominante di bianco e nero che avvolge con maestria tra spire psicotiche, pronte a cancellare ogni traccia di manierata bellezza), suggeriscono le tappe di un percorso iniziatico talvolta cacofonico, conturbante eppure irresistibile, attraverso un mondo difficile da vivere tra solitudini alienanti e inquietanti presenze, in cui trovano accoglienza eccessi e normalità, ordinarietà e devianze, proprio come nei film di David Lynch.